
Nei fascicoli di giugno e luglio del Progettista Industriale, i quaderni di progettazione dedicati agli elementi finiti hanno introdotto la teoria di base facendo riferimento specifico agli elementi mono-dimensionali. Questo mese introduciamo gli elementi finiti piani (2D). Questi elementi sono ancora un’approssimazione della realtà ma in molti casi sono la scelta migliore grazie alla loro estrema efficienza dal punto di vista computazionale.
di Franco Concli
Come descritto nel capitolo precedente, è possibile derivare le matrici di rigidezza degli elementi piani sia mediante un approccio diretto, sia applicando la procedura formale. Nel caso di problemi piani, e geometrie semplici le relazioni tra deformazioni e tensioni sono infatti note.
Metodo Diretto
Per definizione, un corpo detto piano ha spessore costante. La legge costitutiva di un materiale elastico lineare isotropo è però diversa nei casi (ipotesi) di sforzo piano o deformazione piana.
Nel caso di sforzo piano, ovvero nel caso di componenti di piccolo spessore, è possibile assumere che le componenti di tensione ,
e
siano nulle. La legge costitutiva risulta pertanto:

In cui è il modulo elastico,
è il coefficiente di Poisson,
è il modulo di taglio dato da
, e
,
,
sono le deformazioni iniziali (ad esempio causate da variazioni di temperatura).
Nel caso di stato di deformazione piana, la variazione di spessore è impedita () e la relazione costitutiva diventa pertanto:

In alternativa, la legge costitutiva può essere scritta in forma matriciale come:

Dove è la matrice di elasticità per la deformazione piana e
rappresenta il vettore delle tensioni iniziali (se presenti).
Sia in presenza di tensione che di deformazione piane, la matrice , che rappresenta il comportamento elastico del materiale in uno scenario anisotropo, contiene elementi non nulli in tutte le sue componenti. Per un problema piano, tale matrice consta di sei costanti elastiche indipendenti.
Relazioni deformazioni-spostamenti
La teoria degli elementi finiti fa largo uso delle relazioni tra deformazioni e spostamenti: il campo di deformazione viene infatti calcolato a partire dal campo di spostamento.
La deformazione (normale) è definita come la variazione di lunghezza in relazione alla lunghezza iniziale, mentre la deformazione angolare
è la variazione relativa dell’angolo:

Tuttavia, in generale gli spostamenti e
nelle direzioni
e
sono funzioni delle coordinate
e
. Serve dunque una differenziazione parziale:

Queste definizioni sono valide solo nel caso gli spostamenti e le rotazioni siano piccole. In caso contrario, servono definizioni più generali.
→
Per calcolare le deformazioni, e quindi le tensioni, è necessario conoscere i campi di spostamento e
in ogni punto dell’elemento. Gli spostamenti in un elemento finito piano vengono interpolati a partire dagli spostamenti nodali come segue:
→
Dove i sono i polinomi di interpolazione mentre
è detta matrice delle funzioni di forma.
Combinando le equazioni precedenti si ottiene:

Procedura Formale
La procedura formale si basa sull’assunzione che l’energia di deformazione per unità di volume di un materiale elastico possa essere espressa come:

Per interpretare questa espressione si immagini il lavoro necessario per imporre uno spostamento/rotazione ad un generico grado di libertà. Assumendo che il nostro grado di libertà sia uno spostamento lineare (non una rotazione), l’imposizione dello spostamento è possibile solo mediante l’applicazione di una forza che aumenti gradualmente da zero fino a . Il lavoro compiuto in questo processo è dato da:

Ciò è analogo al principio di allungamento di una molla lineare. Così come una molla deformata immagazzina energia potenziale, negli elementi finiti il lavoro viene immagazzinato come energia di deformazione nell’elemento deformato.
Per illustrare questo concetto, si consideri il caso in cui lo spostamento corrisponda al grado di libertà
, ovvero lo spostamento lungo
del nodo. Il campo di spostamento dell’elemento assumerà la forma:

dove è la funzione di forma che descrive come lo spostamento nodale si distribuisca all’interno dell’elemento. Ciò significa che lo spostamento in un punto qualsiasi all’interno dell’elemento risulta determinato dallo spostamento nodale
e dalla funzione di forma corrispondente. L’energia di deformazione immagazzinata nell’elemento deriva da queste deformazioni, e costituisce la base per i metodi energetici impiegati nell’analisi strutturale.
La matrice di rigidezza dell’elemento è definita come:

La matrice è chiamata matrice di rigidezza dell’elemento.
Il metodo diretto per ottenere , utilizzato per barre e travi, non è di carattere generale, perché non esistono formule che mettano in relazione le forze nodali con gli spostamenti nodali per elementi di forma arbitraria.
Dall’Equazione precedente si osserva però che, per una matrice , la natura della matrice
dipende interamente da
, che a sua volta deriva da
tramite una differenziazione prescritta.
In altre parole, il comportamento di un elemento è determinato dalle sue funzioni di forma.
Tipi di Elementi Piani
Triangoli a Deformazione Costante – CST (T3)
L’elemento CST è forse il più semplice e antico elemento finito, con 6 gradi di libertà (DOF) definiti dagli spostamenti nodali e
. Il suo campo di spostamento è lineare in
e
, combinando movimento rigido e deformazione.


Lo spostamento dei punti è composto da un moto rigido, descritto dalle costanti e
(senza dipendenza da
e
) e da una deformazione, descritta dalle costanti
,
,
e
.
Le velocità e
possono essere espresse come serie di Taylor:


Pertanto, i coefficienti possono essere associati ai diversi termini del polinomio di Taylor:



A loro volta, i coefficienti sono funzioni degli spostamenti nodali
e
. Per un triangolo con nodi in
,
e
, i
sono legati agli spostamenti nodali tramite:




Una volta noti i coefficienti , è possibile determinare
e
come funzioni degli spostamenti nodali
e
. Risolvendo per
:
,
,



Dunque il campo di deformazione risulta:



Il campo di deformazione derivante dalle funzioni di forma ha la forma :

dove e
per
(distanze tra i nodi), e
è l’area dell’elemento triangolare.
La matrice di rigidezza risulta:

dove è lo spessore (costante) dell’elemento.
Le deformazioni e tensioni sono costanti all’interno dell’elemento, ma possono variare tra elementi adiacenti.
Triangoli a Deformazione Lineare – LST (T6)
Questi elementi triangolari hanno 6 nodi, quindi 12 gradi di libertà, con un campo di spostamento quadratico:

La deformazione non è costante (come nel CST), ma varia linearmente all’interno dell’elemento. L’elemento è quindi più accurato rispetto al CST, soprattutto in presenza di gradienti di deformazione più complessi.
Quadrilatero Bilineare – Q4
L’elemento Q4 è un quadrilatero con quattro nodi e 8 gradi di libertà (DOF). In termini di coordinate generalizzate, il campo di spostamento è:


Il campo di deformazione risultante è:



Dal campo di deformazione si osserva che è indipendente da
, il che implica che l’elemento Q4 non è in grado di rappresentare esattamente una trave a sbalzo soggetta a forza trasversale in punta, dove
varia linearmente con
. Inoltre, l’elemento Q4 non può rappresentare esattamente uno stato di pura flessione, sebbene sia in grado di produrre una
che varia linearmente con
.
La pura flessione
Secondo la teoria di De Saint-Venant per la pura flessione:
- La deformazione tangenziale
è nulla
- Le sezioni piane rimangono piane
- Le superfici superiore e inferiore si deformano in archi circolari con curvatura identica (linee tratteggiate)
In un elemento Q4 caricato in flessione pura, i lati verticali ruotano mentre quelli orizzontali rimangono diritti. Tuttavia, tutti i lati rimangono rettilinei, e quindi gli angoli retti non si conservano sotto il momento flettente. La conseguenza diretta è la comparsa di deformazione tangenziale in tutto l’elemento, eccetto lungo l’asse .
Lo stesso risultato si può osservare considerando che, per ottenere una che varia linearmente con
,
deve essere diverso da zero. Ma
compare anche nell’espressione di
: quindi un elemento Q4 che flette sviluppa anche deformazione tangenziale.
(Questo problema non si presenta nell’elemento LST in flessione pura: quando nell’equazione precedente è diverso da zero,
assume un valore tale che
risulti nullo nella formula della deformazione tangenziale.
Il difetto principale dell’elemento Q4 è l’eccessiva rigidezza a flessione.
Sia il blocco rettangolare che l’elemento di dimensioni identiche, con modulo elastico e coefficiente di Poisson
. Si applichino i momenti flettenti
e
necessari a far sì che i lati verticali del blocco e dell’elemento formino lo stesso angolo
. Il momento
è quello corretto. Si dimostra che:

dove e
sono le semi-dimensioni dell’elemento Q4 (
).
Se il rapporto di forma aumenta indefinitamente, anche
aumenta indefinitamente, il che significa che l’elemento Q4 diventa infinitamente rigido in flessione. Questo fenomeno è chiamato “locking”.
In pratica, si evitano elementi con rapporti di forma elevati. Un reticolo FEM non “va in blocco”, ma diventa eccessivamente rigido in flessione. Gli spostamenti e lo sforzo assiale risultano inferiori ai valori esatti, mentre la tensione tangenziale
è molto inaccurata, tranne che lungo la linea centrale parallela all’asse
di ciascun elemento.
Quadrilatero Quadratico – Q8
L’elemento Q8 ha nodi a metà lato oltre a quelli ai vertici. Il campo di spostamento è:


Gli spostamenti sono quadratici in , il che significa che i lati si deformano in parabole quando uno qualsiasi dei DOF sul lato è diverso da zero.
Il campo di deformazione risultante è:



Ogni deformazione contiene tutti i termini lineari e alcuni termini quadratici. L’elemento Q8 è in grado di rappresentare esattamente tutti gli stati di deformazione costante e anche stati di pura flessione, se l’elemento è rettangolare (sono comunque ammessi elementi non rettangolari).
Prestazioni degli Elementi
Gli elementi piani di tipo diverso possono essere confrontati risolvendo un problema specifico. Tuttavia, un singolo problema non è sufficiente: un tipo di elemento può essere il migliore in un caso, ma non in un altro.
Esempio Comparativo
Il problema di test è una trave a sbalzo di spessore unitario, caricata con una forza trasversale in punta. I carichi, le proprietà e le dimensioni sono in un sistema coerente di unità. Si assume stato piano di tensione. ,
.
- Con solo due DOF diversi da zero, il modello 1D “trave” risolve il problema esattamente (se include la deformazione da taglio).
- Gli elementi CST danno prestazioni scarse.
- Gli elementi Q4 sono migliori, ma non sufficienti.
- Gli elementi LST forniscono spostamenti accurati, ma tensioni deludenti.
- Gli elementi Q8 sono i migliori in assoluto!
Nella maggior parte dei modelli FEM, la distorsione e l’allungamento degli elementi riducono l’accuratezza. Nell’esempio con il Q8, la distorsione è tale da provocare un avvertimento del software. Una distorsione ulteriore può causare un drastico calo di precisione, non graduale come ci si aspetterebbe.
Conclusioni
In questa terza puntata dedicata agli elementi finiti, sono stati introdotti i modelli piani. Essi hanno grandi prestazioni dal punto di vista computazionale in confronto agli elementi 3D, ma, in alcuni casi, soffrono di problematiche specifiche per cui un loro impiego deve essere fatto con cognizione di causa.
Nella prossima puntata vedremo come tali elementi possano essere modellati in ambiente Calculix.
L’articolo Gli elementi finiti piani sembra essere il primo su Il Progettista Industriale.
Autore: Roberta Falco
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