Le nuove norme su brevetti e proprietà intellettuale dei ricercatori nell’ambito di università pubbliche e legalmente riconosciuti, enti di ricerca pubblici e IRCCS.
di Michela Maggi
Il 18 luglio scorso, la Camera dei Deputati ha approvato il Disegno di Legge n. 1134 contenente alcune modifiche al Codice della Proprietà Industriale, in parziale coerenza con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che prevedeva l’adozione di una riforma entro il terzo trimestre del 2023. Non a caso, nel comunicato del Ministero delle Imprese e del Made in Italy del 18 luglio, questa riforma viene indicata come l’apice dei risultati raggiunti nell’ambito delle Linee strategiche di intervento sulla proprietà industriale per il triennio 2021-2023.
Le novità riguardo la proprietà intellettuale
Fra le novità in materia di proprietà intellettuale vi è la possibilità di pagare i diritti di deposito della domanda di brevetto non solo contestualmente al deposito della domanda, ma anche successivamente, entro un mese, come attualmente consentito da molti Paesi europei, nonché dall’Ufficio europeo dei brevetti (EPO) e dall’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (WIPO), mantenendo in ogni caso ferma la data di deposito.
Tuttavia, la novità più significativa riguarda la modifica in tema di invenzioni brevettabili nell’ambito delle università e degli enti di ricerca pubblici, novità che comporta l’eliminazione del cosiddetto professor’s privilege previsto sino ad oggi.
Fino al momento della citata riforma infatti, l’art. 65 del Codice della Proprietà Industriale stabiliva che le invenzioni sviluppate in ambito accademico presso gli enti di ricerca pubblici appartenessero ai professori o ricercatori che le avevano concepite e non invece alle strutture di ricerca, che tuttavia ne sopportano i costi di sviluppo ed offrono le strutture a sostegno di questa ricerca.
Il Professor’s priviledge
Più nello specifico, quando il rapporto di lavoro intercorreva con un’università o con una pubblica amministrazione avente tra i suoi scopi istituzionali finalità di ricerca, il ricercatore sarebbe stato titolare esclusivo dei diritti derivanti dall’invenzione brevettabile di cui era inventore, salvo il diritto dell’ente di stabilire l’importo massimo del canone, relativo a licenze a terzi per l’uso dell’invenzione e di sfruttare parzialmente queste licenze. In ogni caso, l’inventore aveva il diritto a non meno del cinquanta per cento dei proventi o dei canoni di sfruttamento dell’invenzione. Nel caso in cui le università o le amministrazioni pubbliche non avessero provveduto a determinare il canone, alle stesse avrebbero diritto di ottenere il trenta per cento dei proventi o canoni.
Questa previsione normativa presente nel settore di ricerca pubblico era in completa antitesi con quella delle imprese private, dove i diritti derivanti dall’invenzione del dipendente fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l’attività inventiva è prevista come oggetto del contratto e a tale scopo retribuita, appartengono al datore di lavoro, fermo il diritto dell’inventore di essere riconosciuto tale.
Qualora nel contratto non fosse prevista una retribuzione o un compenso per l’attività inventiva o altri fattori, il dipendente avrebbe potuto avere diritto all’equo premio: un compenso determinato attraverso una serie di fattori.
Il novellato art. 65 del Codice attribuisce la titolarità delle invenzioni realizzate dal personale di ricerca in ambito universitario o agli enti pubblici di ricerca alla struttura di appartenenza, che avranno più possibilità di finanziarsi grazie al trasferimento dei diritti brevettuali in ambito tecnologico e scientifico, grazie al cambio di paradigma dal “modello di titolarità individuale” al “modello di titolarità istituzionale”.
E per gli enti privati?
La riforma riguarda le università, anche non statali, enti pubblici di ricerca e IRCCS ovvero istituti di ricerca e ricovero a carattere scientifico. Tuttavia, non mi pare che la nuova disciplina sia allineata rispetto alle disposizioni in materia di enti privati.
Vi sono infatti una serie di norme che tracciano una linea un po’ diversa per le università e gli enti pubblici. Nel caso dell’ente pubblico, è infatti previsto espressamente che l’inventore debba comunicare l’oggetto dell’invenzione alla struttura di appartenenza la quale, entro sei mesi (con la possibilità di una proroga di tre per valutazioni tecniche), potrebbe decidere di effettuare il deposito della domanda di brevetto o comunicare la propria mancanza di interesse a farlo.
Decorso questo termine, senza che la struttura abbia comunicato il proprio interesse a depositare l’invenzione o abbia dichiarato di non volerlo fare, l’inventore potrà depositare la domanda di brevetto a proprio nome. Questo onere non appare menzionato in relazione ai rapporti privati. Ma soprattutto, quello che qui non compare è la necessità che nel contratto con il ricercatore sia prevista una specifica retribuzione, di talché si dovrà desumere che il ricercatore pubblico universitario – a differenza di quello operante nel settore privato – non potrà rivendicare l’invenzione, né sarà tenuto ad ottenere una retribuzione specifica o un equo premio per questa invenzione.
Infine, la riforma prevede che questi enti possano dotarsi di uffici di trasferimento tecnologico e e di appositi regolamenti, cosa che la maggior parte degli enti più importanti hanno già in effetti fatto.
Quanto alle ricerche finanziate con capitali esterni all’università o all’ente, i soggetti dovranno seguire delle apposite linee guida che dovranno essere adottate con decreto del Ministro delle Imprese e del Made in Italy (entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge) e che individueranno i princìpi e i criteri specifici per la regolamentazione dei rapporti contrattuali tra pubblico e privato.
Vedremo se le linee guida di prossima produzione riusciranno a colmare queste lacune.
L’articolo <strong>Novità nel Codice della proprietà intellettuale</strong> sembra essere il primo su Il Progettista Industriale.
Autore: Roberta Falco
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